Light Art
INTERVISTA A DORA TASS: L’ANTROPOLOGA DELL’OLOGRAMMA
By Jacqueline Ceresoli
Pubblicato il
Maggio 2023
Dora Tass (1969), antropologa e artista romana che vive a Santa Fe (New Mexico), dal 2007 lavora con la luce, seguendo le parole dette da sua madre “non perdere la tua luce”, prima del suo passaggio nell’Ade, ed è interessata al fotone, alla frequenza, all’onda e all’ologramma, utilizzato come metalinguaggio, assemblando gli oggetti della comunicazione analogica. Nel 2012 partecipa alla mostra al MIT MUSEUM di Boston, dove ha incontrato August Muth, artista minimalista statunitense erede di James Turrell, e da quel momento ha approfondito le potenzialità espressive dell’ologramma. I suoi lavori vertono sulla percezione dello spazio e l’umanizzazione della tecnologia. Alcune sue opere sono attualmente nelle collezioni del MART di Rovereto e del MIT MUSEUM, Massachusetts USA. In questa intervista si racconta.
Dall’antropologia all’arte, cosa è successo? Ci racconti quando e perché hai deciso di dedicarti all’arte ?
Antropologia e arte non sono mai state separate. Mio padre era un disegnatore e progettista, l’arte era di casa e l’antropologia legata all’imprinting del viaggio iniziato da piccolissima; da Genova a Buenos Aires una traversata lunga 18 giorni sulla nave Cristoforo Colombo “vettore di migrabondi destini” da Gadda a Fontana. Dopo la Laurea in Antropologia Culturale ho coltivato l’arte da autodidatta, la pittura, la scultura, soprattutto l’olografia che mi ha portata fino in New Mexico.
Quando hai deciso di introdurre la luce nella tua ricerca artistica e quali sono stati i primi materiali che hai utilizzato nelle tue opere ?
Ho iniziato direttamente con l’olografia che è un’arte della luce nel 2007 intuitivamente, un salto nell’ignoto dopo la mia opera Iperlibro. Incuriosita dall’ologramma ho iniziato con la macchina da scrivere Olivetti Valentine di mia madre che era mancata da poco, ho composto un assemblaggio ibrido della tastiera trasformata in ologramma e ricongiunta al corpo della Olivetti che avevo letteralmente tagliato a metà. Ho continuato con oggetti della comunicazione analogica assemblati con ologrammi, esposti alla Biennale di Venezia 2011 grazie a Bertolucci, “fan” dell’ologramma.
Come nasce la tua passione per l’ologramma e perché continua ad essere la cifra stilistica del tuo lavoro?
La luce è un bellissimo materiale, onda-frequenza, comunicazione, particella, si materializza nell’ologramma come materia luminosa tridimensionale, tra arte, scienza, alchimia, filosofia. Il mondo olografico mi affascina come il mondo delle idee di Platone o l’iperreale di Boudrillard.
Hai dichiarato più volte che intendi “umanizzare l’ologramma” , ma cosa intendi dire e come lo fai ?
L’ologramma può risultare un esercizio tecnico freddo e distante. Umanizzarlo è portarlo sulla terra con l’assemblaggio ibrido tra materia e ologramma, rivitalizzarlo con l’ironia, giocando sull’errore, “mascherando” la tecnica.
Nel 2012 hai seguito un simposio sull’ologramma al MIT, Massachusetts Institute of Technology a Boston, dove hai incontrato August Muth, tra gli eredi di Jemes Turrell. Come nasce la vostra decennale collaborazione e quali lavori avete sviluppato insieme ?
Il simposio è stato fondamentale, era presente tutta l’etnia olografica di cacciatori raccoglitori di luce tra arte e scienza. Una mia opera esposta al MIT Museum è piaciuta ad August che mi ha invitato nel suo studio. Ho visitato prima altri laboratori in USA, incuriosita da questo medium, ma nessuno mi si confaceva. Ultima tappa Santa Fe: il suo studio era diverso, più arte e meno scienza, la qualità della luce eccezionale grazie all’emulsione olografica fatta da August hand made, che collaborava anche con Turrell in quel periodo. Il mio approccio umanistico così diverso dal suo gli piaceva e non interferiva con il suo lavoro. Abbiamo iniziato a collaborare alla serie delle typewriters, August mi insegnava la tecnica e mi lasciava libera di sperimentare. È stato un periodo positivo di reciproco accrescimento.
Qual è la differenza stilistica tra le opere di August Muth e le tue ?
August principalmente si muove nella sfera della minimal art, io in quella figurativa del surrealismo-dada e pop art.
Nel 2006 hai prodotto la serie Iperlibro in cui hai introdotto Led e Neon, qual è il messaggio di queste opere di attitudine semiotica ?
Le grandi sculture Iperlibro nascono nel momento in cui il libro è sostituito in gran parte dai media elettronici nella sua funzione comunicativa e viene elevato da strumento a simbolo di conoscenza, come descritto da Mirella Bentivoglio. La parola concretizzata in luce ha un impiego poetico ed evocativo, pone l’accento sul libro come simbolo e funge da congiunzione con il contesto in cui è collocato. Le pagine sono vuote, incorniciate da tubolari di metallo, possono essere attraversate camminando, metafora del nomadismo della cultura orale tra arcaico e contemporaneo. L’Iperlibro inscena narrazioni sempre diverse includendo elementi della natura e architettura, come quello nelle rovine romane con la scritta al Neon “è eterna” o quello a cui sto lavorando “ma voi potreste eseguire un notturno su un flauto di grondaie?”, da una poesia di Majakovskij dove la frase LED è scritta su una prolunga di grondaia che entra nelle pagine come un segnalibro.
È nota la tua serie Archeologia del futuro, un titolo piuttosto ossimorico. Cosa intendi presentare con queste opere sempre contemporanee ?
Archeologia del Futuro è una serie olografica di oggetti della comunicazione analogica, pietre, giornali, frammenti di sculture classiche, reperti della memoria collettiva sottratti all’oblio del tempo e riportati alla luce come ologrammi, una specie di “ritorno al futuro”.
Come nasce la serie dei San Pietrini , un mix tra pietre e ologramma e un omaggio a Roma, la città eterna dove sei nata?
Esatto, è un omaggio a Roma e all’Otium romano come attività dello spirito prediletta. Ho spedito una cassa di sanpietrini a Santa Fe per lavorarci, ma non sapevo come. August stava realizzando tante ellissi olografiche e lo studio mi sembrava una cappella, allora ho avuto un’illuminazione: San Pietrino! Ho separato la parola in due et voilà, the game is done! Mancava solo l’ologramma dell’aureola che poi abbiamo creato e posto sopra al “San Pietrino” diventando un “cult”.
Ci sono elementi figurativi di carattere mitologico nella serie Deus ex Machina. Quali obiettivi ti sei posta in questa nuova serie ?
La nuova serie Deus ex Machina consiste nell’assemblaggio del frammento classico e quello meccanico sincronizzati nell’ologramma e rimanda al significato della frase latina. Sto lavorando a un grande calco della testa di Atena, il cui volume luminoso fuoriesce dalla lastra e non si capisce come, una specie di “rompicapo”.
Da anni vivi in New Mexico. Cosa fai per vivere e come vengono considerate le tue opere negli Stati Uniti?
Svolgo lavori saltuari nelle scuole affiancandoli alla mia pratica artistica e collaboro con qualche galleria. Tutte le opere hanno un feedback positivo, sono di maggior successo il San Pietrino e gli Holophones più immediati da recepire, “l’occhio è un organo educato” come diceva l’antropologo americano Franz Boas.
Secondo te perché l’ologramma è poco considerato nelle pratiche artistiche contemporanee, mentre nell’ambito teatrale continua ad essere utilizzato con effetti scenografici straordinari ?
Gli ologrammi teatrali a cui ti riferisci non sono ologrammi, ma una derivazione digitale dei “Pepper ghost effect”. La vera olografia originale, quella da noi praticata, è totalmente analogica, simile alla prima fotografia del ‘900, in particolare quella di Gabriele Lippmann che il russo Denisyuk ha riadattato all’olografia dopo l’invenzione del laser, fonte di luce necessaria. Il problema è che i “rullini” olografici sono fuori mercato da tempo e il laser ha dei costi molto elevati unitamente a tutto il processo. I laboratori attivi sono pochissimi e quello di August Muth si caratterizza perchè lui si produce hand made l’emulsione olografica (DCG). È un medium poco accessibile e un’etnia quasi in via di estinzione.
Oscilli tra materia e smaterializzazione. Quanto incide l’aspetto manuale, pratico, tecnico nel tuo lavoro ad alta risoluzione formale?
L’aspetto manuale incide tantissimo: prima si prepara il modello che deve essere pesante e stabile, spesso ricreato in metallo per avere la massima resa luminosa, poi si preparano le lastre di vetro con l’emulsione. Una volta scattato il modello con il laser la lastra si deve sviluppare in grandi vasche di alcol che poi si devono sigillare per proteggere l’emulsione nel tempo e infine si deve lavorare il vetro. Un processo lungo e molto faticoso.
A quale progetto stai lavorando ?
La serie dei San Pietrini, gli Holophones, e Deus Ex Machina.
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