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“MORONI. IL RITRATTO DEL SUO TEMPO”. LA MOSTRA ALLE GALLERIE D’ITALIA – PIAZZA DELLA SCALA, MILANO
By Jacqueline Ceresoli
Pubblicato il
Gennaio 2024
Entrare nelle Gallerie d’Italia a Milano in Piazza Scala è un’immersione nella storia dell’architettura e dell’arte in sé, dove si compie un viaggio dentro l’evoluzione della bellezza di ieri e di oggi.
L’esperienza culturale è totalizzante con la mostra Moroni. Il ritratto del suo tempo, a cura di Simone Facchinetti e Arturo Galansino, di respiro internazionale, dedicata al pittore bergamasco protagonista del Rinascimento lombardo che ha sedotto Bernard Berenson, Jacob Burckardt, Roberto Longhi, Flavio Caroli e altri illustri storici dell’arte.
Questa esposizione unica per completezza e qualità pittorica, grazie a prestiti di prestigiose istituzioni nazionali e internazionali, comprende un centinaio di opere tra dipinti, disegni, libri, medaglie, armature; è l’occasione per capire in che cosa consiste l’originalità di Moroni, anche nella pittura devozionale, e come il pittore bergamasco perfeziona l’orientamento naturalistico nei suoi “ritratti in azione”, insito nella pittura lombarda, superando i canoni della scuola veneta rappresentata da Giorgione e Tiziano che segna l’Italia settentrionale dell’epoca. L’esposizione, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, è inserita nelle iniziative di Bergamo Brescia Capitale Italiana della cultura 2023 ed è realizzata in collaborazione con l’Accademia Carrara di Bergamo e Fondazione Brescia Musei (fino al 1 aprile 2024).
RITRATTO DI GIOVANNI BATTISTA MORONI
Giovanni Battista Moroni (1521-1580), si è formato presso la bottega del bresciano Alessandro Bonvicino detto il Moretto, dal quale ha ereditato l’inclinazione per i dipinti di soggetto religioso che ha maturato durante la sua prima attività trentina, coincidente con il Concilio. Dal 1550 Moroni è a Bergamo dove entra in contatto con le principali famiglie aristocratiche filospagnole che ha immortalato nei suoi minuziosi ritratti psicologici. Nel 1561 Moroni, in seguito all’invasione di Bergamo da parte della Repubblica di Venezia, torna ad Albino, suo paese natale, dedicandosi per lo più a temi sacri senza omettere il ritratto. Moroni nell’arte del ritratto è imbattibile, in un’epoca in cui Lorenzo Lotto, Gerolamo Savoldo, Moretto e i maestri veneziani Tiziano, Tintoretto, Veronese, presenti in questa mostra, cominciano a raccontare la modernità, in cui l’abito “fa il monaco”, anche attraverso tessuti lussuosi e gioielli di raffinata fattura, quando si ostenta lo status sociale del personaggio che nei suoi ritratti diviene un codice visivo.
PERCHÈ MORONI È INNOVATIVO NELL’ARTE DEL RITRATTO?
Moroni coglie l’istante nell’espressione del volto, nelle posture, nel gesto e nello sguardo dall’espressione sorniona, quasi sfrontata dei suoi personaggi, come per esempio si nota nel Ritratto di Gabriel de la Cueva (1560) e nel Ritratto di vecchio seduto con libro (1576). Sul piano compositivo il pittore bergamasco supera il ritratto frontale, sembra cogliere il momento in cui il pittore instaura una conversazione con il personaggio dipinto dal vivo su sfondi grigi con effetti chiaroscurali modernissimi. Guardandoli noi diventiamo complici di un fitto interloquire che non udiamo ma immaginiamo.
La sua capacità d’indagine psicologica nei ritratti va oltre lo sguardo, i dettagli dei costumi, tessuti e oggetti che rivelano la professione del soggetto rappresentato, come nel caso del Sarto concentrato nel suo lavoro, sul gesto, sulle mani, espediente che rende ancora “reali” i personaggi ritratti. Moroni, rispetto a Lotto, porta l’arte del ritratto alla sua massima espressività comunicativa. Il suo orientamento naturalistico in particolare nel ritratto, si pensi ad esempio il Ritratto di Gian Gerolamo Grumelli (Il cavaliere in rosa), del 1560, trova le sue radici nella scuola lombarda, in particolare nei ritratti di Giacomo Ceruti; una caratteristica esplorata da Giuseppe Carnovali, detto il Piccio, geniale pittore dell’Ottocento, nato ad Albino come Moroni.
Le austere e composte pale d’altare ci appaiono anacroniste rispetto alla sua capacità di giochi d’ombra e di assoluta maestria nell’arte del ritratto “naturale”, così sfrontato, di uomini e donne giovani e non, esponenti dell’aristocrazia bergamasca, sontuosamente abbigliati, dotti, borghesi ambiziosi, immortalati tra profusione di nero, rosso, rosa, verdi e camicie dai colletti bianchi cangianti, si entra nel vivo del tardo Rinascimento, nello spaccato di vita bergamasca all’insegna della ostentazione compiaciuta del potere e del lusso.
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