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“PICASSO. LA METAMORFOSI DELLA FIGURA”. LA MOSTRA AL MUDEC DI MILANO
By Jacqueline Ceresoli
Pubblicato il
Marzo 2024
Il 2023 ha celebrato i 50 anni della scomparsa di Picasso (1881-1973) in diverse città d’Europa. Milano. fuori tempo massimo, presenta al Mudec – Museo delle Culture la mostra, didattica e scientificamente corretta, ma non scontata, intitolata Picasso. La metamorfosi della figura, a cura di Malén Gual, conservatrice onoraria del Museo Picasso di Barcellona e Ricardo Ostalé. La mostra, che si concluderà il 30 giugno, è prodotta da 24 ORE Cultura e promossa dal Comune di Milano, con il contributo di Fondazione Deloitte e sotto il patrocinio dell’Ambasciata di Spagna e dell’Istituto Cervantes.
Il titolo, non troppo originale, punta sulle metamorfosi stilistiche del genio spagnolo che, come già sappiamo dalle precedenti decine di mostre viste, tra il 1906 al 1909 ha trovato nell’arte primitiva e in particolare in quella africana un nuovo modo di rappresentare la figura, sempre contemporaneo. Sempre al Mudec si trovano quaranta opere in dialogo con le collezioni etnografiche del museo, aperto alle culture extraeuropee, e diversi reperti archeologici, con l’obiettivo di valorizzare le contaminazioni interculturali per comprendere le evoluzioni dell’arte nel Novecento.
Dipinti, sculture, disegni e, imperdibili, ventisei studi tratti dal Quaderno n.7 della Fondazione Pablo Ruiz Picasso – Museo Casa Natal di Malaga che documentano il processo di elaborazione “in divenire” del celebre primo quadro cubista Les Demoiselles d’Avignon (1907) di Picasso. Questa opera rivoluzionaria è il risultato sintetico e formale dopo la scoperta dell’artista dell’Art Nègre al Trocadero, museo etnografico a Parigi, dall’energia apotropaica, magica e primitiva. Le sue spigolose figure asimmetriche, annullano la prospettiva, sono antiestetiche e ribaltando i canoni estetici dell’arte Occidentale. Fu Matisse ad avvicinare Picasso all’arte africana di cui divenne un collezionista convulsivo di maschere e sculture, o meglio feticci carichi di magia ancestrale, dotati di una espressività sconvolgente per gli occidentali dell’epoca.
Picasso da sempre mostrò rispetto per le arti di altre culture non europee: nel suo “primitivismo” c’è la volontà di trovare un’arte non mimetica e accademica, prima individuata nell’arte iberica e poi nella scultura africana, in cui c’è l’origine dell’umanità primigenia.
Nella mostra, suddivisa in cinque sezioni, spiccano i suoi disegni volti alla ricerca di un nuovo linguaggio formale, opere che, secondo il critico e storico dell’arte Carl Einstein, sono: “L’espressione di un dubbio tragico sulla realtà apparente dell’universo delle forme”, lontano dalla rappresentazione tradizionale della figura, puntando su inedite semplificazioni formali, dalle opere giovanili alle più inedite, fino agli anni Sessanta.
IL PERCORSO DELLA MOSTRA ALLA RICERCA DI UN NUOVO LINGUAGGIO FORMALE CON LO SGUARDO PUNTATO VERSO ALTRE CULTURE
Picasso con il ritorno al “primitivismo”, intorno al 1925, trae spunto da esempi neolitici e proto-iberici (della Spagna pre-romana), prendendo ispirazione dall’arte oceanica e dall’antica arte egizia e da quella della Grecia classica- Per l’artista: “Non c’è passato né futuro nell’arte. Se un’opera d’arte non può vivere sempre nel presente, non ha significato”.
Nella seconda sezione spiccano i ventisei disegni del Quaderno n.7 di Les Demoiselles d’Avignon, in cui si fanno notare la maschera Suruku, e la scultura Dogon e quella di Tellem e lo straordinario dipinto Femme Nue, in prestito dal Museo del Novecento di Milano, che finalmente guardiamo e non dimentichiamo, grazie al progetto illuminotecnico dell’architetto Francesco Murano, noto per la sua sensibilità spaziale, e l’eccellente allestimento a cura di Cesare Mari, Panstudio. Queste due opere, viste insieme ad alcune maschere africane, colgono in una elegante sintesi formale la ricerca creativa di Picasso, elaborata in 189 quaderni, in cui almeno 16 riportano disegni relativi a Les Demoiselles d’Avignon con riferimenti a molteplici fonti, dalle Bagnanti di Cezanne, alla scultura iberica, all’arte romanica catalana e alle maschere africane e oceaniche.
Nella terza sezione sono esposte figure dal 1908 al 1917, quando Picasso non faceva distinzione di rappresentazione tra oggetti, paesaggi e persone, preso com’era dalla ricerca di un’arte non imitativa, ma neppure astratta, dove si trova una scultura tribale CHAMBA, messa a confronto con le opere cubiste dell’artista.
Nella quarta sezione Dagli Anni ‘20 alla Seconda Guerra Mondiale, si documenta la permanenza dell’arte tribale nell’opera di Picasso che si apre con la scultura IGBO ALUSI, dall’espressività atemporale che si trova nelle opere degli anni ’20-’30, come anche nei bozzetti per Guernica presenti in mostra.
La quinta sezione, intitolata Metamorfosi della figura, presenta opere dal 1930 al 1970, quando magia, ricerca di sintesi formale antiaccademica, intrise di una misteriosa potenza erotica, sono diventate la sua inconfondibile cifra stilistica. Spiccano opere dalle linee più morbide, distanti dalla rappresentazione geometrica del periodo cubista, sinuose e distorte in cui sempre si evince la figura umana.
Pima di accedere alla sesta sezione, dove sono esposte magnifiche sculture di artisti africani contemporanei sedotti da Picasso, come il beninese Romuald Hazoumè, il mozambicano Goncalo Mabunda e il congolese Chéri Samba, cariche di valenze magico – religiose, implicite nelle maschere rituali, sono visibili le eccellenti videoinstallazioni a cura di Storyville, raccolte sotto il titolo A visual Compendium, che approfondiscono il contesto cultuale in cui Picasso visse e aiutano il visitatore a comprendere il rapporto tra le arti primigenie e l’artista. Tra gli altri video, è una chicca imperdibile la proiezione di METHAMORPHOSIS, che mostra un Picasso maturo mentre disegna nel buio, con un gesto frenetico e inarrestabile, segni e linee luminose nell’aria. È il primo light painting della storia dell’arte realizzato da Gjon Mili, fotografo newyorchese d’origine rumena per la rivista Life nel 1949, l’incipit della Light Art, nello stesso anno del primo Ambiente Spaziale a Luce Nera di Lucio Fontana.
AUTHOR
Jacqueline Ceresoli
Storica e critica dell’arte. Docente universitaria, curatrice di mostre indipendente. Collabora con diverse testate di architettura e arte. Il suo ultimo libro è Light art paradigma della modernità. Luce come oper-azione di arte relazionale, Meltemi Linee (2021). Scrive su LUCE dal 2012 e tiene la rubrica Light art da quando l’ha proposta al direttore diversi anni fa.
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