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Muta Imago, Tre Sorelle. Photo © Gaia Adducchio

“Tre sorelle”. Intervista a Claudia Sorace e Maria Elena Fusacchia

By Cristina Tirinzoni
Pubblicato il
Aprile 2024

"Tre sorelle". Intervista a Claudia Sorace e Maria Elena Fusacchia

Si entra nello spettacolo come in una scatola nera. Nel buio e nel silenzio, prima ancora che ogni parola s’espanda, si intravedono i corpi di quelle che saranno le tre sorelle Prozorov. Tre corpi a farne uno, con i loro abiti perfettamente identici, dentro un minuscolo fascio di luce che piove dall’alto e trafigge il pavimento, creando una sospensione iniziale, lunga ben dieci minuti. Le tre attrici, immobili, nella geometria perfetta di un cerchio, al buio sembrano giocare con lo sfarfallio della luce che rimbalza, sempre più veloce, vorticando dall’alto al basso come un passo di danza, cercando invano di afferrarla; protese verso il futuro, verso quella luce (la speranza di un ritorno a Mosca) che potrebbe salvarle da un immobilismo sempre più avvolgente e soffocante che imprigiona la loro vita insoddisfacente. Come tre bambine che nel buio della notte rincorrono le lucciole. Forse anche come tre sciamane che lanciano incantesimi contro lo spauracchio del tempo che passa e tutto fa sparire.

Muta Imago, Tre Sorelle Photo © Lorenza Daverio

Tre sorelle, il celebre capolavoro di Anton Čechov, è stato portato di recente in scena con grande successo di pubblico al Teatro dell’Arte della Triennale di Milano, per la regia di Claudia Sorace, drammaturgia e suono di Riccardo Fazi, coppia nel lavoro e nella vita, fondatori della compagnia teatrale romana Muta Imago, attiva dal 2006. Ne costruiscono una proposta originale e ricca di stimoli con l’attenzione e la ricerca che derivano da una sensibilità di oggi. Uno spettacolo di magnificenza visiva. Una gioia che si prova di rado. Enfatizzata dal disegno luci, di grande potenza evocativa, opera di Maria Elena Fusacchia (con questo lavoro, è entrata nella rosa dei tre finalisti al premio Ubu 2023 per il miglior disegno luci). Musiche ben orchestrate dal sound design di Fazi, eseguite live dal compositore Lorenzo Tomio. In scena, pochi elementi “stranianti”: un telefono a filo, una radio degli anni Ottanta, palle luminose portatili (che richiamano le iconiche lampade Uovo Fontana Arte). Ma l’ambiente è comunque affollato: di ricordi, di rimpianti, di incontri incompiuti, di desideri mai appagati, vagheggiamenti di una futura felicità. A interpretare le tre sorelle le convincenti Federica Dordei (Olga), Monica Piseddu (Masa), Arianna Pozzoli (Irina), con la novità di avere affidato anche le voci dei protagonisti maschili. È dunque Čechov anche senza essere Čechov.

Come chiuse in una prigione, asserragliate nella casa nello sfondo di una remota e sperduta provincia russa, da cui sognano di fuggire e tornare a Mosca, ricordano momenti, luoghi e affetti. All’interno di una sorta di capsula temporale che attraversa gli anni riaffiorano e ritornano episodi immaginati o realmente accaduti: la morte del padre, l’anno precedente, l’arrivo della brigata, il carnevale notturno, l’incendio, le tensioni erotiche fra Masa e Versinin, il duello che uccide il futuro sposo di Irina. I corpi delle attrici si muovono senza sosta, spostano mobili, si scontrano, si respingono, si sciolgono al suolo, si annullano, risorgono, danno vita a una danza della memoria e del desiderio, e della speranza. Ed è proprio la luce, nel suo diverso utilizzo, a scandire come un metronomo la danza nel tempo di Irina, Masa e Olga. Fino a quel celebre “A Mosca, a Mosca” nel quale volersi tuffare, quando nel finale, vanno verso il fondo ad aprire la tenda che si spalanca su quel giardino simbolo della spensieratezza e di una felicità sempre inseguita, con le care betulle rosseggianti cariche di ricordi e il sole che abbaglia il palcoscenico (attraverso un gioco di pulsazioni di fari con una lente CP62 posizionata dietro la tenda). “Come è allegra vivace, la musica, e come si ha voglia di vivere! Sembra che da un momento all’altro sapremo perché viviamo, perché soffriamo”, dice Olga e abbraccia le due sorelle. La guarnigione parte e tutto ripiomba nella grigia monotonia di giornate sempre uguali. Lo scorrere del tempo è forse soltanto un’illusione?

Abbiamo intervistato Claudia Sorace, regista e fondatrice della compagnia Muta Imago, 43 anni, diplomata in regia alla Scuola Paolo Grassi di Milano, e Maria Elena Fusacchia, che ne ha curato il disegno luci, 39 anni, laureata in tecniche digitali dal vivo (scenografie virtuali video e light design).

Muta Imago, Tre Sorelle. Photo © Lorenza Daverio
Muta Imago, Tre Sorelle Photo © Gaia Adducchio

Perchè cimentarvi in un adattamento di "Tre sorelle" di Čechov?

Sorace: Da un bel po’ di anni stiamo portando avanti una riflessione sul tempo in rapporto alle nostre identità, su come ci definiamo rispetto al tempo e alla sua percezione. Ogni giorno, vivendo, produciamo un archivio effimero di segni che svanisce senza lasciare traccia, che nessuno si preoccupa di trattenere o di salvare, ma che fa di noi quello che siamo. Ricordare, invece, è un verbo solenne un esercizio che riguarda il condurre in salvo qualcosa che ci è caro, perché dentro c’è qualcosa di vitale per immaginare un futuro diverso. Talvolta, invece, il passato è bene che venga sbriciolato, perché è rovina polverosa che ci costringe a rimanere dove siamo. Čechov ci è sembrato uno degli esiti più naturali del nostro percorso di ricerca. La primissima battuta del dramma è: Perché ricordare? Siamo partiti da loro tre, donne rimaste sole, nel vuoto pieno di echi di una casa dove il tempo ha smesso di esistere,

Muta Imago, Tre Sorelle Photo © Gaia Adducchio

Come avete lavorato sul tempo?

Sorace: Sfondiamo in qualche modo la rete temporale. Mentre nella nostra esperienza quotidiana il tempo sembra scorrere in una successione lineare, la fisica quantistica ci dice che il tempo non esiste e che tutto esiste contemporaneamente. La nostra percezione ce lo conferma in maniera intuitiva quando sogniamo o ricordiamo. La memoria fa sì che il passato si presentifichi. Queste diverse dimensioni del tempo passato presente e futuro sono compresenti nel nostro allestimento.

Muta Imago, Tre Sorelle Photo © Luigi Angelucci

Il ruolo della luce?

Fusacchia: L’intento è stato quello di seguire ogni tempo con una luce particolare e con totali di colori differenziati, dal bianco siderale dell’inverno ai rossi aranciati dell’autunno. Luci in qualche modo filtrate dal ricordo, con i toni seppiati della memoria. Il gioco delle luci che si spengono e si accendono diventa metafora della speranza e delle illusioni che se ne vanno. In alcune scene potrei anche dire che la luce ha la suggestiva funzione espressiva del coro dell’antica tragedia che commenta quanto avviene in scena e fa un po’ da tramite fra i sentimenti dei protagonisti e quelli degli spettatori in sala.

Per lunghi dieci minuti all'inizio la scena è dominata dal buio attraversato da un esile fascio di luce che si muove dall'alto verso il basso

Sorace: È un fascio di luce molto sottile ma molto potente. Le attrici entrano in questo fascio di luce e cominciano a giocare con le mani come tre bambine che condividono un gioco o un segreto. Forse come tre sciamane. Proprio quel fascio di luce così sottile e così brillante dentro al buio fa risaltare ancora di più l’oscurità in cui sono. Immerse. Molto di più che se la scena fosse stata tutta al buio. E le immagini che si creano, magiche ed eteree, trascinano in un senza tempo lo spettatore.

Il buio è anche il luogo della memoria?

Fusacchia: Sì, poi anche come termini di lavoro: l’idea di luce come posto dove il corpo deve stare. Le sottili lame di luce dei dieci sagomatori motorizzati che circondano la scena e che disegnano a terra una griglia regolare in continuo movimento costruiscono uno spazio materiale, concreto, che obbliga le attrici a muoversi entro questo limite, seguendo gli andamenti della luce. È un buio vivo e non statico, non si contrappone nettamente alla luce ma compartecipa alla creazione di ciò che è visibile e di ciò che non lo è. Abbiamo iniziato a lavorare quasi subito sull’idea di essere intrappolati in questa forma geometrica. Attraverso una fatica anche fisica o interiore.

Muta Imago, Tre Sorelle Photo © Lorenza Daverio

Spettacolare la pioggia di intensi lampi di luce stroboscopica a frequenza elevata.

Fusacchia: Proviamo evocare la vertigine del tempo, dove nulla passa, come accade nei buchi neri dell’universo, la cui densità è tale che dal suo interno non può uscire nulla, nemmeno la luce. Servono ad evidenziare i momenti drammaturgici più tragicamente intensi, quello della morte del padre e di Tuzenbach ucciso in duello.

A un certo punto le tre attrici, come in una stanza dei giochi, agiscono prendendo in mano delle lampade uovo che mi hanno ricordato le iconiche lampade da tavolo fontana uovo, quasi fossero delle bambine che giocano con una palla.

Fusacchia: In realtà sono semplici lampade in pvc, di quelle che si trovano in un qualsiasi negozio di illuminotecnica, poi le abbiamo rielaborate, inserendovi all’interno un LED di 8 watt con una lente convessa in modo da creare una luce intensa al centro e un alone intorno. Le attrici ne controllavano l’accensione e lo spegnimento, perché volevamo che le sorelle fossero attive in questo meccanismo che simboleggia quello del ricordare.

Lo spettacolo lo riproponete a giugno sul palco della biennale teatro a Venezia che quest’anno ha come tema Niger e Albius, insieme a un workshop dedicato ai giovani artisti. Il nero e il bianco mi porta a fare un collegamento fra buio e luce, due elementi molto presenti in questo allestimento. come vivi il buio?

Sorace: Sono molto affezionata al buio: nell’oscurità l’immaginazione lavora più attivamente che in piena luce. Anche il sogno ha bisogno del buio. Come ci racconta il mito, Orfeo, considerato il primo artista, andrà a cercare la sua amata Euridice nel luogo più buio, il regno degli inferi. Buio e luce sono due aspetti inscindibili. Senza l’uno non è possibile vedere l’altro. Il buio può essere sempre rischiarato dalla luce e la luce può essere sempre assorbita dal buio. Ombre che illuminano, luci che oscurano.

In occasione della retrospettiva Rêver Entre les Mondes, che il Centre Pompidou di Parigi ha dedicato ad Alice Rohrwacher, Muta Imago ha ideato insieme alla regista l’esposizione-installazione dal titolo “Bar Luna” ispirata al suo ultimo film “La Chimera”. ce ne vuoi parlare?

Sorace: Volentieri. Perché il film non parla solo di tombaroli, ma rievoca proprio anche il mito di Orfeo ed Euridice per parlare del passato e del presente, dell’al di qua e dell’al di là, del sopra e del sotto. Il protagonista è un giovane archeologo inglese, e la sua più grande ricerca come Orfeo è quella della donna amata e perduta, Beniamina. Non interessava né a noi né ad Alice un’esposizione legata alle fotografie dei set o delle riprese, c’era il desiderio di creare qualcosa di più immersivo, uno spazio da abitare. Una installazione che fosse viva, non solo da guardare ma con cui interagire. Prendendo spunto dal bar di paese in La Chimera, abbiamo ricreato l’atmosfera di un bar della provincia italiana negli anni ottanta. C’era anche la presenza di attori giovani che giocano a biliardo e a carte, leggono degli estratti di Corpo celeste di Anna Maria Ortese, (è anche il titolo del primo film di Alice Rohrwacker, ndr). All’interno di una delle installazioni c’era una cabina telefonica dove si poteva lasciare un messaggio in segreteria rispondendo alla domanda: “che cosa ti lega al mondo?. Il pubblico è stato invitato a riflettere su ciò che è visibile e ciò che è nascosto e sul cosa fare con il nostro passato? In che maniera ci relazioniamo al passato?

Muta Imago, Tre Sorelle Photo © Luigi Angelucci

Si ritorna alla domanda con cui si apre il dramma di Čechov: perché ricordare? Hai ricordi del primo spettacolo visto da bambina?

Alle medie sono andata a vedere con la scuola la rappresentazione di un’opera di Pirandello a teatro. Non ricordo più il titolo…forse questo già racconta qualcosa.

AUTHOR

Cristina Tirinzoni

Cristina Tirinzoni, laureata in scienze politiche, giornalista professionista di lungo corso, ha collaborato con le maggiori testate femminili, occupandosi delle pagine di cultura, libri, teatro, arte. Convinta che la bellezza (forse) salverà il mondo e che non si finisce mai di scoprire e di raccontare grandi e piccoli costruttori e seminatori di bellezza. Ha pubblicato due libri di poesie Sia pure il tempo di un istante (Neos edizioni) e Come un taglio nel paesaggio (Genesi editore)

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