INDICE
- 1 Come è iniziato il suo percorso nella luce?
- 2 Dagli astri agli apparecchi luminosi...
- 3 I rapporti tra azienda e architetti, oggi con studi molto grandi, ieri con le “grandi firme”...
- 4 Qual è la sua visione sul futuro della luce?
- 5 Come vi siete incontrati? È stato un classico “colpo di fulmine”?
- 6 Che cosa deve essere oggi la luce?
- 7 E la ricerca?
- 8 La sua opinione sull’intelligenza artificiale?
- 9 Come si coniuga l’estetica con la sostenibilità?
- 10 Una lampada particolarmente significativa...
- 11 Alfa ci richiama Alphabet of Light...
- 12 È una evoluzione che muta la posta in gioco?
- 13 Con BIG avete anche prodotto Gople...
- 14 Come si evolverà il LED?
- 15 …e i giovani?
LUCE incontra Carlotta de Bevilacqua, anima gemella nella vita e nel lavoro di Ernesto Gismondi, il fondatore di Artemide, che ci parla dell’incontro con suo marito, ma anche dell’incontro tra scienza, umanesimo e bellezza. Al timone di Artemide in tre vesti professionali, architetto e progettista, studiosa che ama sperimentare, fare ricerca e insegnare, manager e imprenditrice globale, è difficile da rappresentare solo con le parole. Carlotta de Bevilacqua entra nel luminoso Exhibition Centre di Artemide a Pregnana Milanese accompagnata dai suoi tre cani tutti da lei salvati ed entrati in famiglia. Subito lo spazio si anima di energia dinamica in cui luce, storia, innovazione si fondono. Curiosa del mondo, delle idee e dell’altro inizia con noi un dialogo nel senso filosofico del termine, alternando il discorso all’ascolto, dove emerge dal suo universo anche la passione per la musica. Non a caso una delle sue lampade Come together rende omaggio ai Beatles.
Come è iniziato il suo percorso nella luce?
Vorrei iniziare con un ricordo di Ernesto Gismondi, del suo incontro con un gruppo di architetti, uno di quei momenti di svolta nella propria storia che non decidi, semplicemente accadono. Correva l’anno 1959, Ernesto che nasce a San Remo, già laureato in ingegneria al Politecnico di Milano, ottiene una seconda laurea in ingegneria missilistica a Roma, lavora per la Breda e per la NASA, progetta missili, si sposa a Milano e Emy (Emma Schweinberger), sua prima moglie, gli presenta un architetto di nome Sergio Mazza che diverrà suo socio. Mazza gli parla delle nuove aziende milanesi di arredo, come Azucena fondata da Caccia Dominioni con Gardella e Corradi Dell’Acqua. Gismondi, formato da studi classici e amante della mitologia greca, gli dice “Prendiamo un aereo, apriamo una società a Milano e la chiamiamo con un nome che possa venire prima di Azucena nell’elenco del telefono” e sceglie Artemide, dea del tiro con l’arco e della luna crescente. Quello è stato un periodo storico in cui sono nate tante cose. È nata la cultura del progetto grazie all’emergente design italiano alla fine degli anni Cinquanta.
Dagli astri agli apparecchi luminosi...
Gismondi non ha mai lasciato le stelle. Progettare una lampada non era nulla di difficile per un ingegnere missilistico. In lui albergava una grande passione e dedizione, impegno e lavoro. Anche dopo aver aperto l’azienda, per molto tempo, tutte le mattine si svegliava all’alba per andare a lavorare alla Breda. Poi, quando tornava alla sera, metteva insieme i prototipi delle lampade.
I rapporti tra azienda e architetti, oggi con studi molto grandi, ieri con le “grandi firme”...
Ernesto aveva una rara capacità di dialogare con le persone e soprattutto con gli architetti. Quando Artemide era appena nata suonava alla porta degli studi dei protagonisti dell’epoca come Giò Ponti, poi in periodi successivi Vico Magistretti, Gae Aulenti, Michele De Lucchi e tanti altri. Penso che i rapporti ora siano simili ma non uguali. Coltivo, proprio come Gismondi che era colto e intraprendente, un dialogo costante con i progettisti, ma a differenza da allora, oggi, l’azienda è una realtà consolidata. È diverso dal presentarsi a Giò Ponti da giovane sconosciuto come lo era Gismondi ai tempi in cui fondò Artemide. Oggi noi dialoghiamo non solo con grandi architetti e studi di architettura, ma anche con singoli designer che si occupano di spazi, di luce e quindi di valori.
Qual è la sua visione sul futuro della luce?
In questi due anni di intensa mancanza di Ernesto, l’azienda ha portato avanti i suoi asset valoriali e, in primis, la cultura del progetto che non è solo la sua, ma anche la mia e di tutto il nostro team. Siamo una grande famiglia. La cultura del progetto è un valore per me irrinunciabile. Non fai impresa per fare finanza, fai impresa perché pensi di poter avere un risultato d’impresa migliorando il mondo.
Come vi siete incontrati? È stato un classico “colpo di fulmine”?
Si, assolutamente. Artemide sponsorizzava una mostra in Triennale che avevo curato con Pierluigi Nicolin, Marco De Michelis e Cino Zucchi. Tra noi si è formata un’energia sinergica, condividevamo la stessa passione per la luce e la fisica ed Ernesto Gismondi nutriva profonda stima e rispetto per gli architetti come me.
Che cosa deve essere oggi la luce?
La luce oggi deve essere tante cose, prima di tutto innovazione, sostenibilità e tradizione, poi c’è la bellezza, la funzione, l’accessibilità, l’evoluzione tecnologica, la ricerca, i materiali. Oltre alla visione è necessario il saper “mettere a terra” i progetti e, per far questo, sono il team di lavoro, il dialogo e l’ascolto aperto al mondo. Sono le persone il motore di qualsiasi progetto e prodotto. Oggi la luce è un’energia circolare che mette insieme situazioni e persone. Rende visibile il mondo, genera interazione, comunicazione ed esperienza. Tutto ciò che è progetto della luce ha a che fare con la sua capacità di nutrire tutto, la natura e non solo, di supportarci dal punto di visita fisiologico e psicologico e, oggi, anche di sanificare.
E la ricerca?
Il progetto è anche fatto di grandi ricerche sempre aperte. Partendo da questo presupposto Artemide ha già, da prima della pandemia, creato il sistema INTEGRALIS® che coniuga la performance luminosa e l’estetica del design con l’efficacia igienizzante. Si tratta di una tecnologia luminosa che si applica attualmente a diversi nostri prodotti, a partire da icone come Tolomeo o Nur fino ai sistemi più complessi.
La sua opinione sull’intelligenza artificiale?
Sono assolutamente d’accordo sull’utilizzo dell’intelligenza artificiale quando è collaborativa. Dobbiamo affrontarne il progetto con intelligenza non con pregiudizi, senza questo approccio all’innovazione tecnologica oggi non avremmo iPad, smartphone, laptop ecc. a nostra disposizione. Pensando a Leonardo o a Galileo o alla scienza più in generale, è necessario sperimentare, inventare e progettare per migliorare la qualità di vita degli uomini e del mondo. Non è tanto la bellezza che ci salverà, bensì la cultura, l’educazione. Da questo derivano innovazioni come anche INTEGRALIS®.
Come si coniuga l’estetica con la sostenibilità?
Diceva Michelangelo Buonarroti che occorre togliere per svelare la bellezza, noi stiamo togliendo il massimo dai prodotti e dai processi: meno materiale, meno costi energetici, di lavorazione, di trasporto e di logistica. L’impegno di Artemide per la sostenibilità è a 360 gradi.
Una lampada particolarmente significativa...
Alfa, come la prima lettera dell’alfabeto greco. È la prima lampada che Artemide ha realizzato nel 1959 su disegno di Sergio Mazza. È ancora in produzione. La trovo straordinaria. In Alfa è presente interazione, industria, tradizione: il pomolo per trasportarla, il vetro industriale che già allora sostituiva l’abat-jour. Gismondi e Mazza avevano capito che il design doveva appartenere all’era industriale e il peso alla base che rende preziosa la lampada fu ricercato nel mondo artigiano della lavorazione del marmo. È stato l’inizio di una storia.
Alfa ci richiama Alphabet of Light...
Il sistema Alphabet progettato da BIG è diventato un best-seller come Tolomeo. BIG è uno studio di architettura internazionale tra i più importanti al mondo come altri con cui collaboriamo come Foster+Partners, Herzog & de Meuron, Elemental, Gensler, Hassel, Neri&Hu, Mario Cucinella.
Alphabet è una piattaforma aperta, con brevetti d’invenzione e, come tutti i nostri sistemi, in dialogo dinamico con l’ambiente e gli altri prodotti della collezione Artemide. Con la nostra App, applicabile a tutti i nostri prodotti e user-friendly, è possibile gestire direttamente ogni punto luce o gruppi di luce fino a 500 apparecchi e oltre perché si possono unire le reti in una multirete, saltando l’uso di DMX e Dali.
È una evoluzione che muta la posta in gioco?
Progettare la luce diventa sempre più progettare un’esperienza, una piattaforma aperta che integra intelligenze e strumenti digitali. Il prodotto luce non è più un oggetto isolato, ma un elemento che interagisce con l’uomo e l’ambiente, definisce scenari dinamici. La libertà che l’innovazione genera va letta quindi anche come opportunità per un più attento utilizzo delle risorse del pianeta.
Con BIG avete anche prodotto Gople...
Con la lampada Gople abbiamo partecipato a Broken Nature in Triennale, applicandole la nostra tecnologia brevettata RWB che fornisce la luce a seconda delle fasi di crescita delle piante creando, al contempo, anche effetti scenografici colorati. Gople e la più recente Stellar Nebula sempre di BIG sono significative per la ricerca sul materiale vetro e su innovative finiture sostenibili. Cerchiamo di ridurre l’impatto ambientale, materico ed energetico, rispettando la volontà di Ernesto Gismondi di essere impegnati nella tradizione artigianale riguardo ai materiali. Lui aveva una passione straordinaria per il vetro, fatto e soffiato a mano. Il vetro è fatto di sabbia silicea e fuoco e dall’uomo che lo soffia, poi diffonde la luce. Artemide punta a mettere insieme tutti gli elementi e i processi produttivi in una circolarità che non è solo quella dell’economia e della sostenibilità, ma è anche culturale.
Come si evolverà il LED?
Il LED è una piattaforma aperta, c’è ancora molto da fare soprattutto rispetto all’efficienza. Abbiamo presentato i prodotti Helgoland e Sylt a Euroluce. Helgoland è l’isola dove un gruppo di fisici insieme a Heisenberg si sono riuniti e hanno scritto la fisica quantistica, ne ha scritto il fisico Carlo Rovelli. Con questo prodotto siamo riusciti a fare un grande salto, dividendo i flussi da un unico chip on board in molteplici unità, consentendo un controllo e una precisione di performance altissimi. Così, gestiamo meglio anche la termica in uno spessore di soli 12 mm dell’elemento che emette luce. Inoltre, la forma esagonale permette di ottenere una densità di flusso molto elevata. Il cuore luminoso così ridotto è facilmente adattabile, ad esempio, per un incasso in un cartongesso e, essendo leggerissimo, può essere montato su dei binari e può crescere ad alveare nello spazio. Sylt è un binario flessibile che arriva in cantiere arrotolato, si monta nella forma voluta sul posto, tagliando lunghezze diverse. Accoglie Helgoland, molti altri elementi di luce tecnici ma non solo.
…e i giovani?
Con i giovani c’è ascolto e interazione. Artemide ha rapporti con molte università, in particolare con il Politecnico di Milano e la School of Sustainability di Mario Cucinella, e non solo in Italia, ma anche all’estero dove teniamo diversi convegni. Molti collaboratori di Artemide sono stati miei studenti. La relazione con i giovani si stabilisce soprattutto tramite l’insegnamento e, per questo, abbiamo molti stage in azienda. L’aspetto generazionale per noi è molto importante, anche se la nostra è un’azienda che rispetta tutte le età e favorisce lo scambio e il confronto tra le varie generazioni. Mia figlia Carolina, architetto con due lauree, una a Milano al Politecnico e una all’Architecture Association a Londra, ha realizzato un bellissimo prodotto, Se|eS, con Daniele Moioli. Si occupa in azienda di progetto del prodotto e degli spazi oltre che di comunicazione e ha lo spirito del padre Ernesto.
AUTHOR
Monica Moro
Collabora a LUCE dal 2014, scrive di architettura, design e colore. Nata in Svezia, dove ha insegnato per diversi anni design all'Università LNU. Cultore presso il Politecnico di Milano. La sua formazione architetto e industrial design Domus Academy, ha collaborato con Andrea Branzi. Designer freelance e ricercatrice sul colore e la valorizzazione del patrimonio culturale. Passione coltivata lo Yoga
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