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“Luigi Ghirri. Viaggi. Fotografie 1970-1991” al MASI di Lugano. Un viaggio negli strani grovigli del vedere la realtà di Luigi Ghirri
By Jacqueline Ceresoli
Pubblicato il
Ottobre 2024
INDICE
La stagione espositiva autunnale al MASI-sede LAC di Lugano, il Museo d’arte della Svizzera Italiana dove si fa luce sul dialogo tra architettura e paesaggio, è stata inaugurata con la mostra personale Luigi Ghirri. Viaggi. Fotografie 1970-1991 a cura di James Lingwood e il coordinamento di Ludovica Introini.
Lo sguardo gentile, stupito e curioso sulla realtà di Luigi Ghirri (Scandiano, 1943-Reggio Emilia, 1992), dentro e fuori l’obiettivo fotografico, continua a stupirci in questa mostra incentrata sul tema del viaggio fisico e mentale nei dintorni della sua Emilia-Romagna e in Europa (fino al 26 gennaio 2025).
Al MASI, grazie a un allestimento fluido di fotografie di mappe, cartoline, manifesti pubblicitari, si vive l’esperienza di un viaggio dove possiamo ricomporre una dimensione astorica soggettiva e collettiva insieme.
Lo spettatore incantato da colori luminosi, quasi lattiginosi, viaggia in mondo che non c’è più passeggiando tra 140 fotografie a colori, con stampe vintage anni Settanta e Ottanta dell’Archivio Eredi di Luigi Ghirri, diretto dalla figlia Adele e provenienti dalla collezione dello CSAC di Parma, e qualche ristampa, organizzate secondo un ordine cronologico e tematico dal 1973 al 1991.
La mostra è originale nella selezione di scatti più “intimisti” e meno conosciuti di un autore, scomparso prematuramente, che aveva dichiarato nel 1979 che la realtà si stava trasformando in una: “Colossale fotografia e che il fotomontaggio era già nel mondo reale”. È una profezia di un artista affascinato dagli “strani grovigli del vedere” e che ha anticipato lo svuotamento di significato delle immagini a causa di un eccesso di riproduzione con l’avvento dei social media.
Fotografia concettuale
Duplicazione, moltiplicazione, inquadratura, taglio sono le caratteristiche del suo modo di mostrare sottese relazioni della fotografia con la realtà in micro e macro scala in cui il fruitore diventa un operatore attivo, che può autonomamente decidere il percorso espositivo, e il fotografo è da intendere come un frequentatore della cultura dell’immagine che apre riflessioni sulla funzione della fotografia nell’arte contemporanea.
Scrive Ghirri, ex geometra, artista e colto intellettuale: “Quando viaggio, faccio due tipi di fotografie, quelle solite, che fanno tutti, e che in fin dei conti mi interessano poco e niente, e poi le altre, quelle a cui veramente tengo, le sole che considero ‘mie’ davvero”. E in mostra vediamo proprio quelle immagini che considera “sue”, aperte a infinite interpretazioni.
Nel clima di sconfinamenti tra le arti degli anni Ottanta assistiamo alla fusione tra fotografi e artisti come testimoniano Luigi Ghirri, Giovanni Chiaramonte, Gabriele Basilico, Mimmo Jodice, Guido Guidi, Olivo Barbieri, tutti presenti nella mostra Viaggio in Italia del 1984, che guardano al paesaggio con un occhio diverso rispetto a una certa tradizione fotografica italiana propensa alla celebrazione cartolinesca dei luoghi del Bel Pese, stile Fratelli Alinari per capirci.
Ghirri è interessato a sovrapposizioni e accavallamenti tra natura e artificio, tra tradizioni e nuovi riti di massa e supportato da un solido impianto concettuale fotografa cartoline, mappe, pubblicità, atlanti delle mete turistiche più frequentate, in cui i luoghi e poche persone, per lo più riprese di spalle e da lontano mentre si godono il panorama in vacanza, ci fanno riflettere sul come è cambiato il mondo e sulla sua visione analitica e incantata insieme. Tutto dipende dall’inquadratura di un panorama in cui la composizione può condizionare la nostra percezione della realtà.
La mostra a Lugano, concepita come un diario visivo dei suoi viaggi in Europa tra gli anni Settanta e Ottanta, tra Svizzera, Francia, Paesi Bassi e la sua amata Emilia-Romagna, mette in discussione il rapporto che si stabilisce tra uomo e ambiente più che sulla semplice rappresentazione formale dei luoghi.
Ghirri nel 1973 si dedica alla fotografia, iniziata a 27 anni da autodidatta, è un curioso che è sempre andato in vacanza con la macchina fotografica e la pellicola Kodachrome, per osservare luoghi antropizzati rimodellati dalle immagini, all’alba del turismo di massa della costa adriatica, in cui tutto dipende da come fruiamo e ricordiamo un luogo.
Il suo sguardo apparentemente ingenuo trasforma l’ordinario in straordinario, mostra una identità della fotografia come medium ben distinta dalla pittura, con immagini trovate nel quotidiano, muovendosi all’interno di una serie di regole prestabilite, in cui organizza il proprio lavoro fotografico in gruppi e serie. La fotografia per Ghirri è “un viaggio attraverso immagini”, e poco importa se raccolte in libri o se appese alle pareti di una galleria o di un museo, è un medium atto alla mediazione fisico-concettuale con il mondo, come scrive l’autore: “è un continuo viaggio nel grande e nel piccolo e nelle variazioni, attraverso il regno delle illusioni e delle apparenze, luogo labirintico e speculare della moltitudine e della simulazione”.
Percorso espositivo: un viaggio intorno alla cultura dell’immagine dalla cartografia imprecisa
La mostra è scandita da sezioni tematiche e comincia con i suoi Paesaggi di cartone (successivamente annessa al progetto più ampio chiamato Kodachrome) del 1973, con immagini stampate e incorporate nel paesaggio urbano, in cui moltiplicazione e simulazione ci fanno comprendere la differenza, come scrive l’autore: “tra quello che siamo e l’immagine di quello che dobbiamo essere”. Ghirri affascinato da souvenir, mappamondi, cartoline, oggetti di merchandising del viaggio, incentra la sua ricerca sull’ubiquità dell’immagine fotografica, come si vede nella sezione Montagne, laghi, sole e mare, e nella serie degli anni Settanta Diaframma 11,1/125, luce naturale, con dettagli ludici e di persone in vacanza o immortalate nel tempo libero mentre giocano sulla spiaggia, camminano in montagna, oppure guardano mappe per orientarsi, o si rilassano nei caffè e si godono il paesaggio non più soltanto naturale. Nella sezione Viaggi in casa si espone una serie nominata Atlante (1973), con dettagli ravvicinati di mappe che Ghirri ha tratto dal suo atlante, e Identikit (1976-1979), opere entrambe realizzate in casa, un autoritratto privato del fotografo stesso composto da fotografie degli scaffali della sua libreria che mostrano copertine di libri, dischi, mappe, cartoline, ninnoli e souvenir. Fotografie che come scrive l’autore ci permettono: “di compiere un viaggio nel luogo che cancella il viaggio stesso, proprio perché tutti i viaggi possibili sono già descritti e gli itinerari sono tracciati”.
La penultima sezione Un atlante tridimensionale presenta il suo viaggio nell’Italia in Miniatura, fotografie nel parco a tema di Rimini scattate nel 1977-1978, e rivisto nel 1985, con la serie di fotografie intitolata In scala in cui spiccano turisti che si aggirano tra modelli in miniatura delle Dolomiti, del Monte Bianco, del Grattacielo Pirelli e altri monumenti iconici del Bel Paese.
Chiude la panoramica la sezione Viaggi in Italia degli anni Ottanta, quando Ghirri percorre l’Italia da nord a sud, scattando fotografe nei musei di Napoli e sull’isola di Capri su invito dell’Ente del Turismo. Il Touring Club Italiano gli commissionò un gruppo di fotografie per la guida dell’Emilia–Romagna e il Ministro della Cultura francese gli chiese di immortalare Versailles, successivamente ha fotografato i paesi dell’entroterra pugliese. Da questo archivio di immagini prende forma la mostra collettiva sul paesaggio italiano Viaggio in Italia (1984) che presenta il lavoro di venti fotografi, Ghirri compreso.
Per maggiori informazioni www.masilugano.ch
AUTHOR
Jacqueline Ceresoli
Storica e critica dell’arte. Docente universitaria, curatrice di mostre indipendente. Collabora con diverse testate di architettura e arte. Il suo ultimo libro è Light art paradigma della modernità. Luce come oper-azione di arte relazionale, Meltemi Linee (2021). Scrive su LUCE dal 2012 e tiene la rubrica Light art da quando l’ha proposta al direttore diversi anni fa.
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