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“Monte di Pietà” di Christoph Büchel a Fondazione Prada Venezia: inventario umano di oggetti raccolti in un anomalo banco dei pegni a Venezia
By Jacqueline Ceresoli
Pubblicato il
Ottobre 2024
INDICE
Al piano terra, mezzanino, piano Nobile e cortile interno del Palazzo Ca’ Corner della Regina, dimora di Caterina Cornaro, regina di Cipro, poi Monte di Pietà dal 1834 al 1969, affacciato sul Canal Grande, austera sede della Fondazione Prada a Venezia, troviamo ambienti “deposito” di memorie contemporanee, costituite da migliaia di oggetti raccolti da Christoph Büchel (1966, Basilea), richiesti in prestito da musei, collezioni, istituzioni e archivi. L’artista svizzero, erede di Kurt Schwitters, post duchampiano, cultore di Arman, sempre critico nei confronti dell’autorità, delle istituzioni e dell’arte contemporanea, con la colossale mostra Monte di Pietà, inscena un horror vacui straniante in cui tutto dipende dal valore che diamo agli oggetti. Aggirandoci tra migliaia di cose disposte in un ordinato caos, riflettiamo sul fatto che la nostra storia si inscrive nel debito che da sempre genera conflitti.
Avidità e Brama
La Fondazione Prada, nel palazzo costruito dai mercanti veneziani Corner della Regina di San Cassiano nel XVIII secolo, ex sede di Monte dei pegni, è la cornice più adatta dove allestire un delirante banco dei pegni, in un moltiplicarsi di associazioni visive e semantiche. Tra le scritte “Fuori tutto”, “Vendesi”, “Liquidazione totale”, manifesti affissi sulla facciata di Ca’ Corner della Regina, qui tutto sembra in vendita ma per finita. Poi una volta entrati nell’edifico completamente stravolto da stratificazioni non casuali di oggetti, inclusi arredi in disuso, carrozzine dismesse dalle case di riposo, una distesa di barelle, una intera cappella, una camera da letto e tanto altro, ci immergiamo in un catasto della contemporaneità. La storia della modernità si inscrive nei prestiti dei primi banchieri (genovesi e toscani) ai monarchi d’Europa, necessari per finanziare guerre di conquista di nuove terre e ricchezze, utili per ripagare il debito. Il sistema del credito e debito è il primo passo della politica economica che regge il destino del mondo di ieri e di oggi. Büchel con questa mostra ci ricorda che l’umanità evolve in un monte dei pegni mondiale e noi assistiamo sbigottiti alla messa in scena del collasso del Pianeta generato dalla corsa all’accumulo finanziario. Inquieta l’accatastamento di migliaia di oggetti abbandonati nei Monti di Pietà, raccolti da Büchel in un edificio carico di valori simbolici e materiali, dove ripensiamo al tema wagneriano della corsa all’oro dell’umano. Tra la miriade di oggetti c’è uno schermo su cui scorre in tempo reale l’incremento espresso in titoloni del debito mondiale. Gli oggetti di Büchel non concettualizzati parlano della nostra storia e indagano i meccanismi di dominio, di controllo esercitati dal denaro e oggi presenti nella valuta virtuale, libri contabili, abiti, stoviglie, orologi, gioielli, elettrodomestici, giocattoli, armi.
Tra le tante cianfrusaglie, ci sono una lavagna di Joseph Beuys, una serie di Merda d’artista di Piero Manzoni, un Tiziano del 1542, un comune barattolo contenente delle monetine firmate Andy Warhol, e un piccolo bozzetto di Giacomo Balla dell’opera Fallimento (1902).
"Compro-vendo oro, argento e diamanti" ma per finta
Nel gran bazaar di Büchel tra un Banco Alimentare, la Cappella di Pietà, il Banco dei Pegni o stanze di un casinò, nel bene e nel male si stratificano i nostri vissuti, dall’immaginifica forza simbolica ed evocativa. E in questa foresta enciclopedica di segni ogni singolo oggetto si fa carico di diversi significati, mirati a mettere in discussione la brama di accumulazione di cose anche futili che in questo magnifico e scenografico contesto creano effetti estetici, provocazioni critiche sul sistema dell’arte contemporanea e sull’assegnazione di valore simbolico ed economico a beni di consumo.
L’inventario di Büchel include l’archivio del monte dei pegni di Napoli esposto al piano Nobile, dove, tra grandi libri polverosi compilati a mano da scrupolosi funzionari, meditiamo sul tema del debito come strumento per esercitare il potere politico e culturale. È perturbante anche la sala di Schei (soldi, in veneziano), in cui scopriamo il sistema di creazione e gestione di un’autentica criptovaluta destinata a sparire al termine della mostra (24 novembre).
I visitatori al piano Nobile, passeggiando tra ambienti diversi, restano attoniti davanti alla vetrina dei diamanti della memoria, l’opera The Diamond Marker (2020), in cui scopriamo una serie di diamanti sintetici prodotti da un’azienda svizzera, ottenuti processando diverse opere e le feci dello stesso artista. Tutto nella società dei consumi può diventare un diamante da custodire per tramandare memorie e produrre economia. Tornati al piano terra non sfugge il manifesto “Urgent Call for Radical Action: Halt the Venice Art Biennale Now”, in cui si legge la metafora della svendita di Venezia, proclami dei futuristi e del ’68, e un richiamo alla comunità internazionale affinché si ripensi il sistema Biennale da riformulare a favore del rispetto della cittadinanza, soprattutto contro la speculazione e la commercializzazione dell’arte, in cui è scritto: “L’over turismo ha trasformato la nostra cultura in una merce per il miglior offerente”. Poco distante fa capolino la fotografia della premier Giorgia Meloni, adagiata sopra una scatola da imballaggio, a fianco dell’ascensore in un corridoio antistante alla toilette delle signore, e molti visitatori si chiedono: “Perché qui?”. Nel mirino dell’artista c’è anche Donald Trump che è stato protagonista di una petizione on line sul sito We the People della Casa Bianca, sponsorizzata dall’organizzazione no-profit MAGA (che sarebbe l’acronimo dello slogan della campagna presidenziale dello stesso Trump: Make America Great Again).
Büchel il provocatore tra etica e ironia
Christoph Büchel, noto per progetti concettuali e grandi installazione, alla Biennale di Venezia del 2015 con The Mosque, ideata per il padiglione islandese, ha trasformato un’ex chiesa cattolica sconsacrata in una moschea islamica. E, come se non bastasse, due anni dopo, ha esposto alla 58° Biennale di Venezia Barca Nostra, il peschereccio naufragato con a bordo centinaia di migranti al largo delle coste in Libia nella notte del 18 aprile 2015. ma con il progetto Monte di Pietà il messaggio è chiaro, il nostro peccato originale consiste nella necessità dell’accumulo che genera guerre, dolori ed è segno del fallimento del capitalismo globale.
AUTHOR
Jacqueline Ceresoli
Storica e critica dell’arte. Docente universitaria, curatrice di mostre indipendente. Collabora con diverse testate di architettura e arte. Il suo ultimo libro è Light art paradigma della modernità. Luce come oper-azione di arte relazionale, Meltemi Linee (2021). Scrive su LUCE dal 2012 e tiene la rubrica Light art da quando l’ha proposta al direttore diversi anni fa.
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