Personaggi
Fotografia in simbiosi con luce e spazio e assenza che si fa presenza tracciano connessioni tra presente e passato. Intervista a Silvio Wolf
By Jacqueline Ceresoli
Pubblicato il
Dicembre 2024
INDICE
- 1 Quali opere rispecchiano di più il tuo pensiero sulla assenza/presenza, apertura/chiusura come orizzonte dell’alterità?
- 2 Che importanza ha lo spazio nell'installazione delle opere iconiche e autoreferenziali?
- 3 Secondo te quale opera rispecchia meglio il nostro oscuro presente, comunque carico di magie?
- 4 Cos'è per te la fotografia nell’Arte?
Silvio Wolf, filosofo e fotografo, ha studiato Psicologia in Italia e Arti Visive a Londra; è l’unico caso italiano di foto-pittore crossmediale, interessato a varcare luoghi di passaggio, di transizione tra interno/esterno, luce/ombra, presenza/assenza, con luce, suono, video proiezioni, che si avvale di collaborazioni di musicisti, compositori e ingegneri del suono.
Le sue opere sono incentrate sul tema dell’assenza, come dimostra la sua mostra Essere e Divenire. Un Viaggio all’Origine dell’Immagine, della Vita, al Borgo delle Colonne 28, Parma, allestita in occasione del progetto per l’arte contemporanea BDC (di Lucia Bonanni e Mauro Del Rio) 82. Premio La Scelta Italiana, edizione 2024 in cui, con una installazione site-specif, ci invita a riflettere sull’esistenza qui e ora, in uno spazio altro ai confini tra reale e immaginario, disegnando figure umane, ombre, ectoplasmi danzanti oltre il tempo alla ricerca di un paesaggio/passaggio infinito. E qui tutto è meditazione e ascolto del tempo.
L’opera comprende 5 parti collegate tra loro. Tra le altre video proiezioni in mostra, ipnotizza Soglia collocata alla fine del tunnel, la zona più segreta dell’edificio, il cui ingresso è celato dalla doppia tenda nera, da varcare per accedere al luogo del mistero, la fotografia, paradossalmente mostra lo spazio dell’assenza incorniciato dal perimetro della parete: un luogo indefinibile dove s’incontrano Oriente e Occidente e l’esperienza dell’attraversamento si fa opera.
A questo progetto hanno collaborato Tiziano Crotti, ingegnere del suono e sound designer, e, grazie all’allestimento diretto da Sara Bigatti e messo in opera da El Dhaka Ashraf -2M, tutto è immersione e rivelazione.
In contemporanea con la mostra a Parma, Wolf è di scena anche a Pordenone (fino al 12 gennaio 2025), con l’istallazione I nomi della Luce. Rivelazione e Occultamento dell’Immagine, a cura di Alberto Vidissoni, ospitata nell’Antico Ospedale della Confraternita dei Battuti, San Vito al Tagliamento. È un luogo suggestivo in cui il visitatore passeggia tra le apparizioni e sparizioni delle immagini, fisiche e virtuali, in dialogo con l’architettura, con opere appese a parte; tutto è evocazione e immaginazione degli affreschi sottostanti dell’edificio. In questa raffinata installazione di luci sagomate all’interno dello spazio oscurato che rivelano immagini invisibili, sinopie, strappi virtuali, scansioni di un ciclo iconografico da immaginare, svelato da una luce diafana e coinvolgente, tutto è mistero.
In questa intervista Silvio Wolf ci svela la sua poetica e l’attitudine di ascoltare lo spazio, oltre che di renderlo visibile nell’altrove delle sue fotografie spalancate sul vuoto, l’infinito dove si origina l’opera.
Quali opere rispecchiano di più il tuo pensiero sulla assenza/presenza, apertura/chiusura come orizzonte dell’alterità?
L’antinomia presenza/assenza è parte costitutiva del mio lavoro. Non è l’espressione di un pensiero a priori, ma l’essenza del rapporto di soglia che si manifesta continuamente nel mio percorso. La soglia è un confine che si affaccia su due mondi, dei quali l’uno non potrebbe esistere senza l’altro. Ciò che unisce, separa, donando identità e spessore a entrambi: interno/esterno, qui/altrove, materiale/immateriale, visibile/invisibile.
Nelle opere fotografiche ciò si manifesta continuamente: ad esempio nei cicli intitolati Soglie, luoghi architettonici di transizione; Orizzonti, immagini fotografiche non ottiche che definiscono la separazione tra visibile e invisibile, tra potenza e atto; Soglie a Specchio che uniscono e separano interno ed esterno, memoria del tempo trascorso e presente assoluto dell’osservatore; Meditations nelle quali tutte le immagini fotografiche assorbite svaniscono nel nero assoluto che riflette solo lo sguardo di chi vi si confronta.
Nel mio lavoro l’immagine sembra sempre alludere o indicare un Altrove, uno spazio-tempo che è e non è ciò che essa rappresenta, ma del quale l’immagine stessa si pone come interfaccia che mette in contatto due mondi, dei quali l’Uno non sarebbe visibile senza l’Altro. La superficie bidimensionale dell’immagine agisce come uno “schermo a due vie”, intercettando due flussi d’informazioni provenienti da due mondi diversi e opposti, forse complementari: quello esterno della Realtà data, pre-esistente e visibile, e quello interno, intangibile e invisibile del Soggetto.
Che importanza ha lo spazio nell'installazione delle opere iconiche e autoreferenziali?
Lo spazio è fondamentale nel determinare nuove relazioni di senso tra le mie opere esistenti e il luogo nel quale sono chiamato a operare. Diciamo che esse si aprono a diversi orizzonti interpretativi, definendosi come luoghi simbolici dello spazio.
Ad esempio, le Icone di Luce all’interno dell’installazione I Nomi della Luce innescano un rapporto dinamico tra immagini collocate nello spazio e i frammenti degli affreschi esistenti. È come se attraverso le immagini non più presenti sulle pareti, ciò che è stato riapparisse visibilmente. Così come nelle Icone di Luce la scomparsa del quadro originale causato dalla luce che ne aveva consentito la cattura fotografica genera l’apparizione di una nuova immagine la cui luce è assieme soggetto e mezzo dell’opera, altrettanto le mie Icone rendono visibili e immaginabili le immagini scomparse che riaffiorano unendo presente e passato, visibile e invisibile. L’apparizione e la scomparsa delle immagini fisiche e virtuali, il rapporto dialettico fra ciò che si vede e ciò che si immagina, diventa così l’asse portante del mio percorso. La luce rivela immagini invisibili, sinopie, strappi virtuali, scansioni di un immaginario ciclo iconografico la cui presenza è tutt’uno con la luce che le svela.
Secondo te quale opera rispecchia meglio il nostro oscuro presente, comunque carico di magie?
Questa è una domanda molto difficile che mi pongo continuamente.
Mi domando infatti come il tempo nel quale siamo immersi, il presente che viviamo e assorbiamo quotidianamente condizionino le forme del mio lavoro e ciò che esso è in grado di esprimere.
Una possibile risposta che mi sono dato, lavorando all’intervento nell’antico ex Oratorio di Parma e utilizzando fotografia, video, luce e suono, è quella di voler porre l’Uomo al centro del mio universo sensibile, rappresentandolo nella forma di ombre, tracce e impronte, presenze/assenze evanescenti ma assolutamente presenti.
Forse nell’orizzonte di violenza e tragedie, tensioni e conflitti, contrasti inconciliabili e odio diffuso, il problema e la sua soluzione risiedono nell’Individuo, che io rappresento come una figura umana non identificabile e al tempo stesso facente parte di una collettività, una comunità della quale condivide/condividiamo strada, percorso e destino.
Cos'è per te la fotografia nell’Arte?
La Fotografia nell’Arte è per me lo strumento fondamentale attraverso il quale stabilisco il mio rapporto reale e simbolico con il Luogo e con l’Altro. È il linguaggio che mi consente di pormi nella condizione attiva di relazione tra Qui e Altrove che è alla base della mia pratica artistica. La Fotografia si coniuga con l’utilizzo della luce, dell’immagine in movimento e del suono. Nelle mie installazioni site-specific questi mezzi interagiscono tra loro saldandosi e divenendo tutt’uno con lo spazio architettonico. È una pratica generativa e trasformativa che costruisce spazi esperienziali e nuovi percorsi di senso.
AUTHOR
Jacqueline Ceresoli
Storica e critica dell’arte. Docente universitaria, curatrice di mostre indipendente. Collabora con diverse testate di architettura e arte. Il suo ultimo libro è Light art paradigma della modernità. Luce come oper-azione di arte relazionale, Meltemi Linee (2021). Scrive su LUCE dal 2012 e tiene la rubrica Light art da quando l’ha proposta al direttore diversi anni fa.
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