
Eventi
Tra arte e design. Ambienti, illuminazione e oggetti cult
By Stefania Dalla Torre
Pubblicato il
Gennaio 2025
Il Museo MA*GA di Gallarate celebra l’eccellenza italiana dell’arte e del design a partire dagli anni Cinquanta con una mostra itinerante, un allestimento progettato con ambienti dove opere d’arte e oggetti industriali, creati dai principali protagonisti della creatività italiana, dialogano tra loro.

Fino al prossimo 2 marzo al Museo MA*GA di Gallarate (Varese) i visitatori saranno accolti da una grande mostra che, negli intenti dei curatori, vuole raccontare il passato e il prossimo futuro dell’arte e del design italiano, quel particolare legame che ha sempre contraddistinto la creatività italiana nel mondo. Nell’insieme la mostra è composta da due distinti percorsi espositivi ma complementari tra loro: l’esposizione Arte e design. Design è Arte e l’esposizione HYPERDESIGN. XXVII edizione del Premio Gallarate.
Il design è protagonista assoluto ma non solo: come possiamo osservare, gli avvenimenti storici che hanno portato gli autori e i progettisti dalla sperimentazione all’innovazione si sono confrontati con le principali correnti artistiche e le opere d’arte di alcuni principali autori delle arti visive che hanno caratterizzato il panorama italiano.
Il progetto, con il contributo del Ministero della Cultura e di Regione Lombardia Assessorato alla Cultura, ripercorre attraverso le ambientazioni dell’allestimento progettato da Parasite 2.0, la storia del design italiano nel tempo. Le vicende culturali, storiche, economiche, industriali, si intrecciano con le questioni critiche, formali e autoriali tipiche dell’arte.
“Nella splendida cornice del MA*GA, due percorsi espositivi di grandissimo livello, sostenuti da Regione Lombardia, racconteranno la storia gloriosa e il futuro prossimo del design italiano, che continua a contraddistinguere l’Italia nel mondo”, afferma Francesca Caruso, Assessore alla Cultura della Regione Lombardia.
Arte e design. Design è Arte nasce da un progetto del noto storico e critico d’arte Philippe Daverio con la curatela di Emma Zanella, Vittoria Broggini e Alessandro Castiglioni. Viene riproposto uno spaccato storico dagli anni Cinquanta agli anni Novanta, anni salienti e ricchi di notevoli pezzi di design a tutt’oggi considerati epocali. L’allestimento generale è suddiviso in cinque sezioni così come descritto dal gallerista, critico e curatore Jean Blanchaert: “1. Si riparte; 2. Quando i salotti erano bianchi; 3. Dalle libertà personali alle libertà politiche; 4. Gli anni di piombo; 5. Milano da bere. Anche nei titoli delle sezioni sulle quali è costruita la mostra si percepisce l’attitudine antropologica che, unitamente a quella di storico dell’arte e del design, caratterizzava l’operato di Philippe Daverio, sempre ironico e serio allo stesso tempo”.
HYPERDESIGN. XXVII edizione del Premio Gallarate, a cura di Chiara Alessi, è dedicata all’analisi e alla presentazione dei progetti nati a partire dal XXI secolo in poi e tende a proseguire con continuità il percorso storico attraverso i progetti selezionati; le scelte compositive e le differenti poetiche rappresentano interessanti spunti di riflessioni per capire l’attualità e le vicende del contemporaneo.
Il concept
Il progetto, concepito nel 2009, prende finalmente forma nel 2024 in occasione dei trent’anni di fondazione della sezione Design del Museo MA*GA. L’idea di creare una grande mostra dedicata al dialogo tra arte e design a partire dalla metà del secolo scorso si attua oggi nell’esposizione concepita da Philippe Daverio che ripercorre negli intenti l’instancabile sperimentazione, la ricerca del prodotto e l’innovazione, le svolte epocali che hanno caratterizzato storicamente ogni decennio. L’esposizione si struttura idealmente sulla definizione di “design”, quel fenomeno complesso che Daverio così descrive: “Nasce a Milano per un elenco di motivi che ne determinano fin dall’inizio la sottile ma complessa ambiguità” intendendo, probabilmente, gli anni in cui convergono questioni culturali, economiche, estetiche e sociologiche che contribuiscono all’unicità di ogni creazione. La sperimentazione non parte dal servizio verso la produzione industriale ma al contrario, è analisi e confronto, differenziazione e, soprattutto, forte riconoscibilità. La visione del progetto espositivo considera quindi l’opera artistica e l’oggetto di design: ognuno dialoga con l’altro e porta alla memoria i principali fatti storici, a riconoscere immediatamente i grandi episodi della modernità.
Gli ambienti
Le cinque differenti sezioni descrivono l’evoluzione del linguaggio italiano, ambienti scenografici dove architettura, arte e design si mescolano tra loro. In ogni spazio si individuano le caratteristiche formali del periodo di riferimento, come nel primo ambiente Si riparte. La celebre sedia Leggera in frassino di Gio Ponti prodotta da Cassina dal 1951, il tavolino in noce Cicognino di Franco Albini (produzione Poggi dal 1953 al 2005 e successivamente prodotto da Cassina) si confrontano con l’opera su tela L’Urto di Emilio Vedova del 1949. E poi ancora: il portaombrelli in ceramica C33 di Antonia Campi del 1949, l’alzaimmondizia KS 1068 di Gino Colombini prodotta da Kartell dal 1957, lo sgabello Mezzadro in acciaio cromato e verniciato e in legno di faggio, progettato nel 1957 da Achille Castiglioni e Pier Giacomo Castiglioni e prodotto da Zanotta dal 1970; il dialogo si amplia con la visione delle opere d’arte di Atanasio Soldati, Augusto Garau, Mario Radice.
Si notano le strutture policrome e l’affermazione del Movimento Arte Concreta, l’opera Immagini ambigue, un olio su tela del 1951, documenta gli inizi dell’attività di artista di uno tra i più importanti teorici dell’arte del XX secolo: Gillo Dorfles. Tra i fondatori del MAC nel 1948, Dorfles sosterrà attivamente la riflessione teorica tra arte astratta e concreta, la contaminazione tra arte e design, moda, cultura pop e ricerca critica. Così afferma a proposito del design: “Il disegno industriale deve essere inteso come quella particolare categoria di progettazione per l’industria (ossia gli oggetti da prodursi in serie attraverso metodi e sistemi industrializzati) dove al lato tecnico si unisca già in partenza un elemento estetico. È implicito, infatti, nel concetto di disegno industriale, che già il disegno creato dal progettista contenga in sé (sia pure allo stato latente ma del tutto potenziale) quella qualità di unicità e di individualità artistica che lo distinguerà da ogni altro disegno e che viene a costituire la sua vera identità”.

Il secondo ambiente Quando i salotti erano bianchi, descrive gli anni Sessanta, il boom economico. La casa diventa protagonista, insieme alla luce e agli oggetti che la rappresentano: molti gli apparecchi di illuminazione che sono stati premiati, ammirati e riconosciuti, esposti nei più prestigiosi musei in tutto il mondo. Le forme diventano più morbide, colori e nuovi materiali definiscono i salotti d’arte eleganti e ricchi di opere d’arte astratta. Ammiriamo le opere di Lucio Fontana come Concetto Spaziale, tela a olio, matita e buchi su tela del 1960 e Attese, idropittura su tela del 1964; gli Achrome di Piero Manzoni dei primi anni Sessanta; l’elegantissima Arco di Achille Castiglioni e Pier Giacomo Castiglioni in marmo, acciaio inox e alluminio di produzione Flos; l’Eclisse di Vico Magistretti produzione Artemide; Pipistrello di Gae Aulenti, produzione Martinelli Luce; l’apparecchio di illuminazione a sospensione Falkland di Bruno Munari, produzione Danese dal 1964. Altri prodotti si caratterizzano per la sperimentazione di nuovi materiali, come Acrilica di Joe Colombo, in materiale perspex e acciaio prodotta da Oluce; la radio portatile Cubo TS502 disegnata da Richard Sapper nel 1964 in ABS colorato, produzione Brionvega; la macchina da scrivere portatile Valentine in ABS, prodotta da Olivetti, di Ettore Sottsass e Perry King; i televisori Doney e Algol11 di Richard Sapper e Marco Zanuso, prodotti sempre da Brionvega. Passiamo negli anni Settanta, il nuovo design radicale tende a rifiutare metodi tradizionali per affermare la costruzione di un nuovo progetto di design. Le novità tendono alla libertà formale e insieme all’arte concettuale, nuovi modi di osservare la società e le sue molteplici dinamiche.
L’ironia critica si traduce progettualmente attraverso l’innovazione dei materiali e nuove forme libere, modulari, componibili. Celebri e parte della nostra memoria collettiva, la poltrona Sacco di Piero Gatti, Cesare Paolini e Franco Teodoro prodotta da Zanotta dal 1968; il collage AM, Immagini e parole di Mirella Bentivoglio; il divano in poliuretano con tessuto lucido rosso Superonda di Archizoom, produzione Centro Studi Poltronova per il Design; i portaoggetti Componibili prodotti da Kartell in materiale plastico di Anna Castelli Ferrieri; la seduta verde Pratone Forever di Giorgio Ceretti, Piero Derossi, Riccardo Rosso prodotto da Gufram; il Gioco 16 animali in legno di Enzo Mari prodotti da Danese. Una nuova progettazione democratica e utopica, come dichiarava Enzo Mari, pensata come un kit di autocostruzione, porta sulla fine degli anni Settanta a pensare l’oggetto di design in dialogo con la natura e apre il dialogo con le opere dell’Arte Povera di Giulio Paolini o Alighiero Boetti. L’ultimo ambiente Milano da bere è dedicato al periodo edonistico, postmoderno, tecnologico e più “leggero” degli anni precedenti che si contraddistingue con un rialzo dei consumi, il ritorno al colore e al successo mondiale del Made in Italy. Un progetto che ben rappresenta il periodo tra gli anni Ottanta e Novanta è la poltrona Proust di Alessandro Mendini, lo stesso si può dire anche per tutta la produzione di Studio Alchimia e Memphis. Nell’arte emergono le visioni e i filmati di Studio Azzurro, i disegni e le ceramiche di Ugo La Pietra e poi ancora la serie degli oggetti ludico-ironici prodotti da Alessi: caffettiere e teiere, tappi e cavatappi, gli oggetti cult di Aldo Rossi, Carlo Alessi, Stefano Giovannoni e Philippe Starck.
Gli Anni Zero e il XXI secolo
La mostra ideata da Philippe Daverio si chiude con gli anni Novanta, proseguono invece il racconto e l’analisi di ciò che ha caratterizzato e messo in dialogo arte e design nel XXI secolo. L’esposizione HYPERDESIGN. XXVII Premio Nazionale Arti Visive affronta nuovi fenomeni culturali e pratiche artistiche dal 2000 in poi. La crisi economica globale e la crisi energetica caratterizzano progetti e proposte, gli autori si confrontano ora con nuove metodologie progettuali e industriali, le autoproduzioni con la richiesta di nuove risorse e si assiste al ritorno dell’eccellenza italiana per creare manufatti di altissima qualità. La sperimentazione e la libertà progettuale è garantita, spesso associata, a precise scelte produttive da parte di aziende giovani e innovative che scommettono su proposte audaci. Vengono affrontate le nuove questioni della contemporaneità come la sostenibilità ambientale, il clima, le questioni di genere e la disabilità. Una produzione fatta di scelte tecniche e di ricerca avanzata di nuovi materiali che prevede, mettendoli al centro del progetto, il riuso e il recupero, il mix di materiali differenti come il materiale lavico, il legno e i suoi scarti, i polimeri biodegradabili e polimeri naturali estratti da piante come nella serie Botanica di Formafantasma. Il cambiamento verso la progettazione inclusiva non è più imposto o legato al nome di un autore, rappresenta un vero e proprio processo di crescita progettuale anonima, frutto di collettivi di progettazione che seguono le regole dell’open source, dove ogni singolo di una comunità può contribuire, con le proprie idee e preferenze, a determinare prodotti in divenire adattabili alle proprie esigenze. Un esempio interessante è la piattaforma Arduino, composta da una serie di schede elettroniche dotate di microcontrollore, ideata e sviluppata nel 2005 da alcuni membri dell’Interaction Design Institute di Ivrea, dove tutti possono accedere per creare prodotti.
Le opere in mostra raccontano molto della nostra storia e molti sarebbero gli aneddoti da raccontare per ogni singolo progetto d’arte o design, le vicende e gli incontri tra i personaggi che hanno creato e prodotto le opere stesse, il lavoro di tutti gli imprenditori che hanno creduto, vissuto e sostenuto il valore culturale di ogni singolo progetto a livello mondiale.
Tutta l’esposizione generale è legata dall’opera interattiva dell’artista Ennio Bertrand, il pioniere dell’arte digitale in Italia.
AUTHOR
Stefania Dalla Torre
Stefania Dalla Torre è laureata al Politecnico di Milano in architettura e libera professionista. Scrive per riviste architettura e design. Dal 2023 collabora con la rivista LUCE.
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