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Nina, foto di scena. Photo credits Luigi De Angelis

Straordinaria “Nina”. Lo spettacolo di teatro musicale dedicato a Nina Simone

By Cristina Tirinzoni
Pubblicato il
Maggio 2024

Nina, foto di scena. Photo credits Luigi De Angelis

Una figura vestita di nero. Un pianoforte nero profilato di neon rossi. L’atmosfera fumosa disegnata dalle luci soffuse, magicamente catapulta lo spettatore in uno di quei locali newyorkesi degli anni ’60 in cui si esibiva quando lascia le chiese battiste della Carolina del Nord, dove sin da bambina cantava e suonava il pianoforte in maniera eccelsa. “Cos’è per me la libertà? Libertà è non avere paura. Solo questo. Non avere paura”. Magia del teatro. Ancora oggi vibra sul palcoscenico la voce, unica e irripetibile, di Nina Simone. Artista insuperabile. Ribelle. Donna. Nera. Simbolo e voce delle rivendicazioni dei diritti del popolo afroamericano negli anni più oscuri della segregazione razziale. Si, è accaduto. La leggenda del jazz e del soul è apparsa al Piccolo Teatro Grassi di Milano (nell’ambito del Festival Presente indicativo), protagonista del nuovo spettacolo di teatro musicale Ninafirmato dalla compagnia ravennate Fanny & Alexander, per la regia di Luigi De Angelis che cura anche il suggestivo disegno luci, drammaturgia e costumi di Chiara Lagani, musica elettronica e sound design di Damiano Meacci e che andrà in scena l’11 giugno al Ravenna festival.
Non era scontato riuscire a condensare l’esperienza artistica e biografica di una leggenda come Nina Simone, nome d’arte in omaggio all’attrice francese Simone Signoret, scelto da Eunice Kathleen Waymon (1933-2003). La regia di De Angelis la racconta attraverso parole (catturate da discorsi pubblici e interviste e mescolate insieme), canzoni (selezionate nel vasto repertorio e riproposte in una veste inedita e originale, distorte, asciugate, sintetizzate o espanse), suoni (reali e irreali, presenti e remoti), luci (calde, gelide, distaccate o avvolgenti) e movimenti (spezzati, violenti,

sinuosi) che concorrono a dare corpo all’anima agguerrita di Nina e a mostrarne anche le sue fragilità. A interpretarla, attraversando i momenti più salienti della sua parabola biografica e artistica, il pluripremiato soprano americano e performer Claron McFadden. In un modo che va oltre la rappresentazione mimetica, perché quella di McFadden è una sorta di possessione. Al crocevia tra tecnologia e magia. Grazie alla tecnica dell’eterodirezione, Claron McFadden utilizza gli auricolari per connettersi in tempo reale alla voce dell’artista. Creando un effetto di “sovrapposizione fantastica”. Per un “concerto impossibile” tra inglese e italiano, parlato e cantato, alternando canzoni leggendarie, evocazione di posizioni politiche.

Nina, foto di scena. Photo credits Luigi De Angelis
Nina, foto di scena. Photo credits Luigi De Angelis

Nina Simone

Nina, foto di scena. Photo credits Luigi De Angelis

Nina si racconta dal profondo. Era nata nel 1933 a Tryon, nella Carolina del Nord dove i binari della ferrovia dividevano la città in due, da una parte i bianchi dall’altra i neri. Sesta di otto fratelli con la pelle di un ebano lucente, i genitori entrambi predicatori metodisti. Che esistessero le discriminazioni razziali, la piccola Eunice lo scopre relativamente presto. Un episodio la segna profondamente: quando ai suoi genitori, che erano andati ad assistere alla sua prima esibizione al pianoforte nella sala del municipio di Tyron, viene chiesto di lasciare la prima fila riservata ai bianchi e di spostarsi in fondo alla sala. Lei scosta lo sgabello, si alza e si rifiuta di suonare. Silenzio in sala. I genitori, imbarazzati, riguadagnano i loro posti. Eunice si risiede al pianoforte e, prima di mettersi a suonare il Bach previsto a programma, si accorge che alcuni spettatori bianchi stanno ridendo di lei. Paragonò in seguito la rabbia di quel giorno all’essere “scorticata viva”, ma disse di esserne riemersa con la pelle “ricresciuta un po’ più forte. Un po’ più nera”.

Claron McFadden è una Nina strepitosa. Arrabbiata con il mondo intero. Lenta e sensuale nelle movenze feline quando intona West Wind, scritta da Miriam Makeba, accompagnata da percussioni africane. Mettono i brividi come spazzole taglienti e fruscianti anche le pause, i suoi silenzi. Da Color Is A Beautiful Thing alla celeberrima Mississipi Goddam è una scaletta in crescendo quanto a provocare emozioni in chi ascolta. Chi conosce appena un po’ la storia di Nina Simone sa bene che nella sua voce ci sono tutte le storie, i conflitti e le tenerezze, la sua rabbia, la tristezza, la malinconia e la disperazione, il suo male di vivere, quella sua suprema incazzatura nei confronti del mondo, le discriminazioni razziali,

il rapporto burrascoso con il manesco marito manager e quello altrettanto drammatico con la figlia Lisa Celeste, i successi eclatanti e fino agli anni minati da forti crisi maniaco-depressive.

Nina non è “solo” uno spettacolo, non è una performance, è un po’ memoir, un po’ flusso di coscienza, ma soprattutto un omaggio a una voce irripetibile. Profonda, intensa, arrabbiata. Voce piena di tristezza e gioia. Di luce e di spigoli. Capace di spezzare la musica facendo una miriade di incisioni, ferite, lacerazioni (“Certe volte la mia voce ha il suono della ghiaia, altre è come un caffè con la panna”, diceva). Come può una voce umana contenere qualcosa di così straordinario?

Muore il 21 aprile del 2003 nella sua casa A Carry-le-Rouet, vicino a Marsiglia all’età di 70 anni, due giorni dopo aver ricevuto il titolo di dottore honoris causa in musica e discipline umanistiche al Curtis Institute, la stessa scuola che le aveva rifiutato la borsa di studio perché nera. Un gesto che non cancella l’indelebile macchia del 1950. Chi non la conosce, la ascolti. Una lunga serie di dischi e filmati di concerti dal vivo testimonia la profonda, ineluttabile bellezza della sua arte. Basterebbe ascoltare solo Sinnerman per comprendere la fiamma del genio della sacerdotessa del soul, in tutta la sua potenza.

Nina, Claron McFadden. Photo © Enrico Fedrigoli
Nina, foto di scena. Photo credits Luigi De Angelis

Luigi De Angelis racconta

Abbiamo avuto modo di incontrare il regista Luigi De Angelis che cura anche le luci e di discorrere con lui di drammaturgia delle luci.

Nina, Claron McFadden. Photo © Enrico Fedrigoli

Il pianoforte nero si staglia come un totem tra le ombre del palco, profilato di una catena luminosa di LED rossi

Nina suonava il pianoforte in modo eccellente. Il suo massimo desiderio era fin da bambina quello di diventare la prima grande pianista nera di musica classica d’America, con il rispetto e l’ammirazione di tutti, bianchi e neri. Lo suona a partire dai tre anni, Muriel Massinovitch, la raffinata signora inglese sposata a un pittore russo presso cui la madre fa le pulizie, le impartisce le prime lezioni. Quell’ora il sabato a casa della signora Massinovitch è gioia allo stato puro. La piccola Eunice studia Bach, Debussy e Beethoven, Chopin, Rachmaninov, Liszt. Il pianoforte spesso sarà l’unico strumento ad accompagnare la sua voce. Era lo strumento che sin da bambina aveva protetto la piccola e spaventata Eunice da un’aspra realtà di discriminazione e razzismo. Una gabbia protettiva. Un compagno di giochi. “Vivo tra un mondo di neri e un mondo di bianchi, tra i tasti neri e i tasti bianchi del mio pianoforte, ma se mi sedevo davanti a un piano, era sempre un trionfo”.

Come ha costruito la drammaturgia della luce?

Su un doppio binario. La luce è materiale e immateriale, fisica e metafisica. C’è un primo livello di illuminazione capace di evocare l’atmosfera da club degli anni ‘60/’70, poi un secondo in cui ho cercato una luce che evocasse la figura di Nina Simone come un’apparizione epifanica, presenza fantasmatica con puntamenti in leggera direzione obliqua in modo da produrre un’ombra leggera. Una presenza che si fa visione onirica. Ho voluto cosi luci di taglio che non toccassero il pavimento, come avessero il potere di far lievitare il corpo di Nina in una dimensione psichica. Quasi un processo di levitazione. Il mito torna a splendere, e viene strappato all’oblio. E ci parla ancora.

Quando Nina/Mc Falden canta Mississippi Goddam c'è un cambio dell'illuminazione.

Il discorso si fa politico, esplode il colore rosso. Il rosso esprime tutta la rabbia che Nina vuole urlare per tutte le ingiustizie subite dagli afroamericani in un mondo violento e ingiusto. Lei che si era impegnata a fondo nella lotta per i diritti civili. “Cantare per la mia gente è diventato il mio scopo. Non suonavo più jazz o blues o classica: suonavo i diritti civili”. E quando tutta la rabbia che covava dentro di sé si trasformava in musica, il risultato lasciava sempre senza parole.

Missisipi Goddam (1963) "è un punto un punto di non ritorno": possiamo spiegare perché, un po' più nel dettaglio?

“You don’t have to live next to me, just give me my equality” dice nel brano: “non chiedo che tu viva accanto a me, dammi soltanto la mia uguaglianza”. Mississipi Goddam nasce di getto nel 1963, dopo aver saputo dell’attentato dinamitardo a sfondo razziale ad opera del Ku Klux Klan in una chiesa battista di Birmingham, in Alabama, in cui quattro bambine restano uccise. Simone l’ha definita la sua prima “canzone sui diritti civili”: la morte di quelle quattro ragazzine quel 15 settembre 1963, ha scosso profondamente Nina che ha capito che la musica che ha interpretato fino a quel momento non bastava più. Si schiera in prima linea nella lotta per i diritti civili. Più dalla parte di Malcom X che non da quella del pacifista Martin Luther King. Da quel momento in poi, Nina assunse piena consapevolezza della sua identità di donna, nera, musicista e attivista. Non è un caso che nel 1966, Nina Simone si presenti al pubblico con i capelli afro: anche il suo aspetto si fa portavoce dell’orgoglio nero.

Durante lo spettacolo la luce irrompe anche sulla platea. Qual è la ragione di questa scelta?

La luce chiama con sé in causa lo sguardo dello spettatore, in uno spazio innervato di scambi e relazioni. È lì presente un pubblico che guarda, che respira, che partecipa e ascolta in silenzio. Durante i suoi concerti, Nina sentiva le reazioni del pubblico, le assorbiva, ne faceva il carburante, la forza.

AUTHOR

Cristina Tirinzoni

Cristina Tirinzoni, laureata in scienze politiche, giornalista professionista di lungo corso, ha collaborato con le maggiori testate femminili, occupandosi delle pagine di cultura, libri, teatro, arte. Convinta che la bellezza (forse) salverà il mondo e che non si finisce mai di scoprire e di raccontare grandi e piccoli costruttori e seminatori di bellezza. Ha pubblicato due libri di poesie Sia pure il tempo di un istante (Neos edizioni) e Come un taglio nel paesaggio (Genesi editore)

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