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Calder. Sculpting Time – Lugano Museo d’Arte della Svizzera Italiana – sede LAC. Guarda come dondolo con i mobiles di Alexander Calder
By Jacqueline Ceresoli
Pubblicato il
Settembre 2024
Come sentirsi in un’opera sospesa per aria di Alexander Calder (1898-1976), in una quarta dimensione di luce e di ombre che generano dinamismi visivi?
La risposta è semplice, basta andare al MASI di Lugano, Museo d’Arte della Svizzera italiana, sede LAC, a vedere la mostra Sculpting Time a cura di Carmen Giménez e Ana Mingot Comenge in collaborazione con Calder Foundation di New York (con il supporto di Fondazione Favorita), che esibisce 34 opere realizzate tra il 1930 e il 1960. Questi sono gli anni più innovativi dell’inventore dell’arte cinetica e poetica che ha rivoluzionato la scultura e il modo di percepirla, dalle prime astrazioni come Little Ball whit Counterweight alle sphériques fino a una serie di mobiles, stabiles e standing mobiles (fino al 6 ottobre 2024).
le opere
Questi capolavori dell’artista statunitense, grazie a un allestimento essenziale e assemblativo di organismi dinamici e illuminati dall’alto sembrano prendere vita dalle ombre proiettate sul pavimento e sulle pareti che disegnano grafismi sorprendenti.
Sono leggendari i suoi mobiles, termine che in francese si riferisce sia al “moto” che al “movente”, animati non da una spinta meccanica, un piccolo motore o dalla mano del fruitore, ma solamente da movimenti dell’aria. I suoi “congegni” leggeri come l’aria definiscono il vuoto e sono il frutto di un artista laureato in ingegneria meccanica che non ha messo da parte l’aspetto tecnico per giocare con l’arte e in leggerezza per incorporare il moto nella scultura.
Da New York Calder si traferì a Parigi nel 1926, nel quartiere di Montparnasse, dove incominciò a creare il suo Circo Calder, un circo in miniatura costruito con filo metallico, spago, gomma, stracci e altri oggetti di recupero, divenuto popolare e visitabile pagando il biglietto d’ingresso.
Nel 1929 Calder tiene la prima mostra personale a Parigi, conquista pubblico e critica con sculture di filo di ferro e in breve tempo diventa amico di molti artisti, inclusi Joan Mirò, Jean Arp, Picasso, Marcel Duchamp e tanti altri avanguardisti.
Fu Duchamp nel 1931, in visita nello studio di Calder, a battezzare i mobiles, un insieme di elementi che si muovono nel vuoto e incarnano concetti di leggerezza, che si fanno corpo e materia di un qualcosa d’impalpabile e leggero.
Incantano le sue sculture dinamiche dall’equilibrio calibratissimo senza peso né massa, realizzate in filo di ferro, che s’intrecciano a piccoli oggetti materici policromi sospesi nel vuoto. Al contrario le sculture autoportanti soprannominate stabiles da Jean Arp per differenziarle dai mobiles e viste insieme rappresentano la sua poetica sull’equilibrio stabile nell’instabilità.
Le sculture cinetiche di Calder segnano il tempo in un dato spazio e si muovono a seconda delle caratteristiche ambientali che incontrano e cambiano in funzione della luce, dell’aria, vento e temperatura; sono componenti fondamentali delle sue invenzioni, organismi ferrosi che sembrano respirare.
La mostra a Lugano è dedicata al periodo in cui Calder sostituisce la figurazione con l’astrazione, dopo la visita nello studio parigino di Piet Mondrian, nel 1930, e affascinato dal ready made Ruota di bicicletta (1913) di Duchamp e Chitarra (1912) di Picasso, scultura fatta di materiali di scarto, incomincia a pensare al moto e inventa le sculture mobili che vanno oltre l’astrazione e includono il concetto di leggerezza e movimento. “Così come si possono comporre i colori e le forme, allo stesso modo si possono comporre movimenti” (Calder, 1933).
Il percorso espositivo della mostra
La prima sala ospita Senza Titolo, un “quadro-scultura” del 1937 composto in legno, compensato, filo metallico, spago e pittura, ma tra le altre domina la scena Croisière, una scultura astratta in filo metallico, legno e pittura, senza corpo né peso che ha incantato Parigi quando è stata esposta nel 1931. Lascia senza parole Big Bird (1937), un uccello di metallo e bulloni dipinto di rosso e nero bene ancorato al terreno che si libra nell’aria. Tra le altre sculture esposte nella seconda sala, dove si vive una vera e propria “Festa mobile” per gli occhi di chi guarda, cattura lo sguardo Eucalyptus (1940), un ramo frondoso e leggero che sembra plasmare l’aria, opera proviene dal Guggenheim Museum di New York. Non sono da meno Yucca (1941), uno strano fiore in lastra di metallo dipinta di ferro, e Aspen (1948), una porzione di un campo di fiori sospeso nell’aria. In questa sala white cube alle pareti tra un’ombra e l’altra fanno capolino le sue Costellazioni (1943) che, esposte insieme ad altri lavori stupefacenti ed eleganti, ci permettono di entrare nel suo mondo lieve e giocoso, dove tutto è leggerezza, movimento e bellezza.
Nelle sue opere che sembrano respirare anche il ritmo ha il suo “peso”, come si vede in Triple Gong (1948), un organismo fatto in fili di metallo, ottone, lastra di metallo e pittura che “danza” nell’ambiente circostante. Di Calder seducono anche le sue minuziose forme ritagliate in lastrine metalliche lucenti, simili a foglie e petali, appesi a esili fili di metallo che incorporano spazio, tempo e rimodellano l’ambiente attraverso la luce. La mostra si chiude con il grande mobile Red Lily Pads (1956) e Funghi neri (1957), due scenografiche opere allestite nella sala con grandi vetrate vista lago, plasmate dalla luce naturale. Una curiosità, la seconda scultura è stata esposta a Milano alla Triennale nel 1957, l’anno dello Sputnik, il primo satellite artificiale a essere mandato in orbita intorno alla Terra, lanciato nello spazio dai russi, quando entriamo nell’epoca della conquista spaziale e cambia la percezione del mondo visto dall’alto.
AUTHOR
Jacqueline Ceresoli
Storica e critica dell’arte. Docente universitaria, curatrice di mostre indipendente. Collabora con diverse testate di architettura e arte. Il suo ultimo libro è Light art paradigma della modernità. Luce come oper-azione di arte relazionale, Meltemi Linee (2021). Scrive su LUCE dal 2012 e tiene la rubrica Light art da quando l’ha proposta al direttore diversi anni fa.
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